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C’era stata una telefonata, un numero sbagliato forse, le scuse della voce femminile che Marco aveva accettato. Anche la sera successiva, alla stessa ora, e quelle dopo ancora. Avevano cominciato a chiacchierare con piacere, del resto sembrava loro quasi dovuto. Una forma di rispetto nei confronti del destino. Poi si salutavano colmando la notte di silenzi e domande. Ma una sera il telefono era rimasto muto e Marco ne era rimasto stordito. Come succede quando il vuoto ti coglie alla sprovvista e ti rimane attaccato addosso come una viscida pellicola che sembra toglierti il respiro. Vorresti colmarlo e sapresti anche come, ma il vuoto si adatta al tuo corpo, si insinua nei tuoi pensieri ed è solo l’inizio. L’indomani sul lavoro Marco era stato impreciso, assente. Proprio la parola giusta. L’assenza lo aveva divorato e non poteva nemmeno recuperare il numero. Sulla sua tastiera infatti compariva sempre “numero privato”. Aveva paura, pensò così, di quello che significava, ma alla solita ora la sera sentì quanto quell’assenza sarebbe stata devastante per lui. Poi lo squillo del telefono, numero privato finalmente e ne riconobbe subito la voce. La sentiva sorridere e lei scioglieva gli ormeggi era più sicura, voleva lasciarsi andare. Marco le chiedeva cosa significasse. Lei non rispondeva. Marco sentì il campanello suonare con insistenza. Aperta la porta la riconobbe subito. Ti disturbo, gli chiese lei appena entrata colmando di sé ogni angolo di casa di Marco. Anni dopo Carla avrebbe ricordato lo sguardo nuovo e inconfondibile di Marco, lo avrebbe evocato nei momenti di silenzio nel buio della notte, dopo l’amore, perché era così che accadeva dopo, spegnevano l’ultima luce e tornavano a parlare come al telefono, anche solo per pochi minuti, finché non rimaneva che il buio e il morbido calore dei corpi a placare il respiro.
Marc Chagall – Sopra la città